Lo studio è a disposizione dei colleghi per domiciliazioni presso gli Uffici Giudiziari del Tribunale di Avezzano e della Corte D’Appello di L’Aquila.
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“Gli avvocati non sono né giocolieri da circo, né conferenzieri da salotto: la giustizia è una cosa seria.” P. Calamandrei
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Ha fatto discutere la sentenza del 11 Gennaio 2013, n. 601, pronunciata Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con cui si è stabilito che il danno per lo sviluppo del minore affidato ad un nucleo familiare omosessuale deve essere dimostrato.
Tuttavia, tale principio, lungi dal rappresentare il riconoscimento del diritto di persone omosessuali alla paternità/maternità, va contestualizzato rispetto alla vicenda processuale sottoposta alla trattazione della Suprema Corte.
Il caso vedeva un minore essere affidato ad una famiglia composta da due donne legate da una relazione omosessuale. Il padre, di origine musulmana, agisce in giudizio ritenendo che tale nucleo familiare fosse idoneo, sotto il profilo educativo, a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino, in relazione ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio di cui all’articolo 29 della Costituzione, alla equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio con i figli legittimi di cui all’articolo 30 della Costituzione e al diritto fondamentale del minore di essere educato secondo i principi educativi e religiosi di entrambi i genitori.
Ebbene, secondo i giudici di legittimità “Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino“.
Nella specie, infatti, non risultava alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino.
L’avvocato può fare le sue comunicazioni al cliente anche al bar. Nel caso specifico l’assistito, che aveva perso una causa di sfratto, negava i caratteri della completezza ed adeguatezza delle comunicazioni perché il colloquio informativo con il legale era avvenuto in una sede sfornita dei requisiti di professionalità, il bar appunto. Una tesi bocciata dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 938/2013, secondo cui le comunicazioni “non devono necessariamente avere la forma scritta né devono essere effettuate con formule particolari ovvero ‘in sede fornita di requisiti di professionalità’”, come sostenuto dal ricorrente.
La ha escluso che il reato di molestie possa essere configurato – a differenza di quanto si verifica nel caso dei c.d. s.m.s. inviati su utenze telefoniche mobili -, qualora si tratti di messaggi di posta elettronica, privi, in quanto tali, del carattere di invasività in quanto si può scegliere se aprirli o meno – diversamente dai messaggini inviati al telefono cellulare.
La fattispecie criminosa prevista dall’art. 660 c.p. punisce la condotta dell’agente che per petulanza, ovvero per altro biasimevole motivo, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, reca a taluno molestia o disturbo, e, dunque, la condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita di relazione. La molestia, rilevate nei termini di cui innanzi, consiste, in particolare, in 嘉盛外汇 un’azione che altera fastidiosamente o inopportunamente la condizione psichica di una persona, mentre con il concetto di disturbo si intende ciò che altera le normali condizioni in cui si svolge l’occupazione del soggetto. Ai fini della configurabilità della menzionata ipotesi contravvenzionale, pertanto rileva la modalità con cui si invade l’altri sfera privata e pertanto l’invio delle email di per sè non configura il reato perché il ricevente può scegliere di non aprire il messaggio e di cestinarlo.